Omelia di don Gino, in occasione del 50° della sua ordinazione sacerdotale

Su richiesta di alcuni, pubblichiamo l’omelia nel 50° di sacerdozio di don Gino. La pubblichiamo integralmente, anche con le parti che, per brevità, sono state omesse durante la celebrazione e abbiamo mantenuto il “parlato”, meno ordinato, ma più diretto. È un piccolo decalogo: se può essere utile per riflettere…

Il prete

 

Non intendo qui raccontare la mia biografia.

Non è così interessante.

Non è la cosa più importante.

Questa celebrazione ha un senso nella misura in cui approfittiamo per riflettere una volta tanto su una figura un po’ strana come quella del prete.

 

Chi è il prete? Che ci sta a fare dentro un paese, dentro la società odierna?

Non è un tecnico, non insegna un mestiere, non produce, non è un campione sportivo o una star del cinema, non è una macchina di divertimento, non garantisce la salute, non è un politico. Allora che cos’è?

Serve ancora dentro una società progredita, scientificamente e tecnologicamente avanzata, ricca, moderna?

Non farò un trattato. Alcuni flash, del tutto incompleti, per la riflessione. Solo spunti disorganici, come mi son venuti.

 

Una volta nella vita ci facciamo domande sul prete.

Il prete è un uomo come tutti con le sue fragilità, debolezze, limiti, con le sue domande, speranze, con il suo carattere, con i suoi sentimenti. I preti sono pure loro peccatori.

E già qui: ma perché Gesù Cristo ha scelto uomini come tutti, con tutti i loro limiti per formare la sua Chiesa? Non poteva scegliere solo i santi per rappresentarlo?

Appunto, me lo chiedo anch’io, anche per la mia vicenda personale. Quante volte me lo sono chiesto. Dio ha affidato la presentazione della propria immagine a uomini peccatori, con tutti i rischi.

Eppure già questo ci fa capire con che tipo di Dio abbiamo a che fare, qual è il suo stile, la sua strategia pastorale. Lui che è onnipotente non poteva usare strumenti più sicuri per il suo obiettivo di liberare gli uomini dal male e dare a loro la felicità? Appunto, che idea ho in testa circa l’onnipotenza di Dio?

Puntuale è l’espressione di Papa Francesco “Quando senti la tentazione di scoraggiarti, prega così: Signore, io sono un poveretto, sono debole e peccatore, ma tu puoi compiere il miracolo di rendermi un po’ migliore.”

 

Eppure questo uomo, un misto di male e di bene, ha il coraggio di toccare i grandi nodi, scottanti, fondativi, della vita umana: il tema del male e se è possibile o no superarlo, il tema del destino umano, verso dove stiamo andando, il tema del senso della vita…

Quei temi che anche l’uomo moderno evita accuratamente, perché non sa cosa dire, si trova in imbarazzo.

Anche la scienza di fronte a questi temi è in difficoltà, si trova sguarnita.

Ma sono temi per nulla astratti. Anzi.

 

Il prete è un uomo controcorrente.

Provoca e accompagna le persone a PENSARE e CONTEMPLARE (e questo non è di moda).

Pensare anzitutto per distinguere ciò che è fondamentale di ciò che non lo è. Pensare è anzitutto lasciare emergere le domande decisive e cercare le risposte. Pensare è necessario perché senza il pensare non c’è una sana criticità e quindi non c’è una libertà vera. Senza pensiero, la libertà nostra è malata, è in preda alle emozioni del momento, è in balia di chi grida di più, delle mode; si va avanti a istinti. Pensare, per essere davvero liberi. Diceva il Cardinal Martini:

“non c’è solo la differenza tra credenti e non, ma prima ancora tra chi pensa e chi no”.

Pensare perché una fede senza pensiero diventa in fretta superstizione, magia, devozionalismo, sentimentalismo.

Il prete dice che una fede non accompagnata dal pensare è ingenua. Non è fede vera, c’è bisogno di silenzio pensoso. E così il pensare sfocia nel contemplare.

“L’ultimo passo della ragione è di riconoscere che c’è un’infinità di cose che la sorpassano” (Pascal).

E così ci si ritrova dentro e avvolti nel mistero. La ragione si apre alla contemplazione e ci troviamo con la bocca aperta, presi da stupore. La verità è sempre oltre. Solo entrando nel mistero tocchiamo la realtà completa. Il mistero e il bello ci aprono a Dio. Pensiero e contemplazione ci portano alla verità tutta intera. Il prete in una società tecnico scientifica invita l’uomo a pensare e contemplare.

 

Il prete pone la questione DIO.

Ma Dio c’è o non c’è? C’è ancora posto per Dio in questo mondo? E se c’è, a che cosa serve? Cosa cambia? Provocatoriamente parto da un’affermazione di uno che si dichiarava non credente, era un anticlericale ma era tutt’altro che superficiale: Dario Fo. Un giorno, pensando a sua moglie morta diceva: “in certe occasioni sono sicuro che mi aiuta a superare le difficoltà”, e diceva anche: “che Dio ci sia o no, non lo so, ma su un punto non ho dubbi: Dio è stato una grande intuizione, una grande idea, la più grande”.

Un altro non credente, ma uomo serio, acuto e pensoso (Camus) e quindi in forte ricerca di Dio scriveva:

“c’è una sola questione nella storia dell’uomo: come essere santi senza Dio”.

Qui uno squarcio di luce ci viene da Papa Francesco che ci stimola scrivendo:

“essere santi vuol dire essere pienamente uomini. Santi e felici sono sinonimi”.

 

Allora, pensiamo ancora che la questione Dio sia una questione astratta? Per chi non ha niente da fare?

Non solo, ma un Dio a partire da Gesù Cristo, un Dio non raggiunto solo secondo ragione, che supera le aspettative umane, le stravolge, diverso da come l’avremmo inventato noi, un Dio sorprendente, che spiazza, che può creare tanta gioia per chi sa lasciarsi contagiare, ma può causare imbarazzo e rifiuto a chi pretende di ingabbiarlo nei propri schemi.

Un Dio inventato dagli uomini non nasce in una stalla, in un villaggio oscuro dell’impero romano, un Dio inventato dagli uomini non può andare in croce, perché uno che è Dio non può perdere. Non può morire (e invece muore). È il paradosso cristiano.

La mia storia di credente non è sempre stata facile (e non lo è tutt’ora), e mi porta a dire che se Dio c’è (e perbacco che c’è) non può essere se non come Gesù Cristo ce lo ha rivelato. Anche se (anzi proprio perché) non fa sempre quello che gli chiedo io.

Ecco, o Dio è così, o non mi attrae. Solo un Dio così mi provoca e insieme mi garantisce. Un Dio altro non mi interessa.

Togli Dio e senza Dio l’uomo non può capire pienamente se stesso, la realtà, la storia umana, il senso del vivere. Senza Dio l’uomo non ha le risposte decisive che cerca. Senza Dio l’uomo non può realizzare pienamente il suo desiderio di felicità.

Ebbene il prete c’è per dire queste cose.

 

Il prete è come Giovanni Battista.

Non ha il compito di attirare le persone a sé, non fa campagna elettorale per sé, non lega a sé. Il prete c’è per indicare l’obiettivo più alto e più pieno dell’uomo, e cioè Gesù Cristo, il vero unico liberatore dell’uomo.

Il prete è come Giovanni Battista: bisogna che io (Giovanni Battista) diminuisca e che lui (Gesù Cristo) cresca. Il prete è un amico prezioso che ti accompagna per dirti come essere uomo in pienezza.

Il prete è l’uomo del rito, l’uomo del sacro.

È con il rito che il prete dice che la vita è più di un mestiere, più degli studi, più del lavoro, più dello sport, più del divertimento, più del piacere. È di più.

Il rito non è magia, fiaba, superstizione. I riti sono gesti di comprensione non immediata. Il prete regala la Messa alla sua gente perché la Messa è la spiegazione più alta della vita.

Parlare di sacro è sempre un argomento scottante. Per un verso attira perché l’uomo, consciamente o no, avverte che ha bisogno del mistero, di Dio per risolvere le sue domande e il rito è il segno che la ragione non basta per capire l’uomo e la storia umana. Ci vuole tutta la ragione, ma non basta.

Ma per un altro verso è un argomento non di moda, perché l’uomo talora ritiene di avere altro da fare (parabola degli invitati a nozze). L’uomo punta sul “fare”, che, per carità, è cosa buona e giusta. Ma un fare senza lasciarsi interrogare dalla vita porta l’uomo a correre, a scappare, porta l’uomo ad essere distratto perché è indaffarato, ma così cammina senza sapere dove sta andando, cammina dis-orientato. Senza scopo e meta. Senza distinguere ciò che davvero dà sapore e contenuto alla sua libertà.

 

Un uomo di Chiesa, della Chiesa.

E parlare di Chiesa oggi può creare reazioni diverse.

Anche perché noi ci si aspetta una Chiesa perfetta.

E se vediamo che perfetta non è, che il prete perfetto non è, pensiamo di trovare un motivo sufficiente per allontanarci da essa.

Ma già ci ammoniva un grande cristiano, martire per ordine di Hitler, Bonhoeffer:

“chi ama il proprio sogno di Chiesa più della Chiesa concreta, reale, effettiva, con le sue contraddizioni, è destinato ad essere un distruttore di ogni comunità cristiana, anche se è personalmente sincero, serio e generoso”.

Personalmente mi piace stare dentro una Chiesa imperfetta, fatta non solo di grandi santi. Perché una Chiesa perfetta non sarebbe la mia casa, non mi troverei a mio agio, io che sono peccatore.

Facile criticare la Chiesa, facilissimo.

Forse dovremmo imparare ad amarla così com’è per renderla migliore, per purificarla davvero.

 

Il prete (soprattutto il PARROCO).

Lavora per l’unità di una comunità. Per questo spesso non è capito neppure dai fedeli più vicini. Cristo ha pregato il Padre affinché i suoi seguaci siano una cosa sola. Questo ha chiesto Gesù al Padre, non altro, non l’organizzazione, non il successo.

L’organizzare ci vuole, ma non è il fine di una comunità cristiana.

Curare le relazioni tra di noi sembra qualcosa di astratto. Per di più, si dice, rallenta le decisioni.

Il cercare di cogliere l’apporto delle opinioni di tutti viene tacciato di essere basso e inutile compromesso.

Ma il parroco ha il compito di cogliere e armonizzare le differenze, cioè i diversi doni che lo Spirito Santo effonde in ogni parrocchia. L’autorità del prete è a servizio della unità/comunione. E questa non è facile per nessuno, ma è determinante, è decisiva. Il parroco “non comanda”. È a paziente servizio dell’unità nella pluralità.

Perché questa è la più grande testimonianza che ci fa essere non solo credenti, ma anche credibili.

 

Il prete è un ROMPISCATOLE.

Sì uno che rompe. È segno di contraddizione.

Per questo è amato e avversato.

Va controcorrente, non sale sul carro del vincitore, perché il Vangelo è controcorrente.

Il prete è chiamato a dire anche cose impopolari e… impossibili.

  • Ad annunciare il Vangelo affascinante e impossibile
  • A dire all’uomo di oggi che pensa di salvarsi da sé che invece ha bisogno di un Altro che lo salvi (e questo scoccia)
  • A parlare di un amore impossibile umanamente, come quello verso chi ti fa un torto, il nemico, l’antipatico
  • A dire che l’amore è più forte della violenza, dell’imposizione, della prepotenza
  • A dire che il vero potere è il servizio. Il vero comandare è mettersi umilmente a servire
  • A dire che solo se sei disposto a perdere la tua vita la troverai.

 

Il prete c’è per dire queste cose.

Il prete è uomo della gioia e della speranza, è colui che ti dice:

“guarda che se tu uomo vuoi essere felice, ma di una felicità profonda e durevole, devi passare da Gesù Cristo”.

Lui è venuto per dirci che il male non è l’ultima parola nella vita dell’uomo.

A vincere è e sarà l’amore, quindi la gioia. Non solo “dopo”, ma già qui su questa terra. Una gioia soprannaturale, pur mescolata con i colpi del male (parabola della zizzania). In attesa della gioia piena, della liberazione totale.

Se vuoi essere felice, impegnati a far felici gli altri; lì troverai la tua felicità.

Il prete è l’uomo della gioia, non quella delle fiabe, non quella superficiale, non quella che si compra al mercato, non quella che chiude gli occhi di fronte al male, ma quella che si fonda sulla fedeltà di Dio.

 

Il prete è UOMO DELLA CONSOLAZIONE.

Il prete è in mezzo alla gente magari per sgridare qualche volta, ma mai per condannare.

Il suo compito è dire sempre: ora io ti assolvo nel nome di Dio. Bellissimo!

Il suo compito è consolare, di una consolazione seria, per ridare sempre fiducia. Sempre.

Perché Dio non condanna.

Così dice che Dio non condanna. Dio perdona e ci rimette in strada.

Ma il prete è l’uomo della consolazione anche di fronte al male fisico, la malattia, la morte, nei momenti più difficili per indicare che Dio non è assente, Dio è a fianco, sostiene, dà senso, forza e meta quando siamo tentati di perdere la speranza.

Per tutto questo il prete è l’uomo della Speranza, ma quella che si appoggia sulla fedeltà di Dio. La speranza è il contrario dell’illusione. Speranza certa, comunque, nonostante tutto.

L’elenco potrebbe continuare.

È del tutto incompleto. Ma…

 

Quello che vi ho detto non è quello che io sono riuscito a fare in questi 50 anni. Ne sono ben cosciente. Per questo, mentre ringrazio Dio perché si è servito di me per aiutare tanti, insieme vi chiedo perdono, vi domando come dono in questa occasione di pregare per me.

 

Vi sarete poi accorti che tanto di quello che ho detto non riguarda solo il prete, ma ogni cristiano che voglia essere tale. E il prete è dentro una comunità per ricordare con la vita e poi, se ci riesce, anche con le parole, queste cose.

Solo perché forti di questo messaggio abbiamo il diritto-dovere di vivere e proclamare la Speranza.

Nonostante tutto.

Canegrate, 15 Settembre 2019

In occasione della Festa patronale e del suo 50 ° anniversario di ordinazione sacerdotale, è stato pubblicato anche questo documento:

DON GINO AUGURI A3