Omelia di don Marcello in occasione della S. Messa di accoglienza del 25/09/2022

Un saluto a tutti,

ai miei familiari, ai sacerdoti e alle suore dall’accoglienza invidiabile, alle autorità civili e militari, insieme ai gruppi di volontariato sociale, con i quali sono certo di trovare quella leale collaborazione per rispondere ai bisogni reali delle persone. Inoltre, facendo memoria dell’esperienza di parroco a Milano, vedo con simpatia la presenza dei parrocchiani di S. Maria delle Grazie al Naviglio e di S. Cristoforo.

La presenza numerosa, poi, dei ragazzi e dei giovani con i loro educatori, in particolare i ragazzi della professione di fede, ci ricorda che oggi è la loro festa, la festa dell’oratorio e che sono protagonisti di un giorno a lungo preparato, perché ci accorgiamo di loro, che esistono, che hanno dentro domande belle e grandi che attendono risposte altrettanto belle e grandi che possiamo dare noi con la vita.

Partiamo da una domanda: don, perché sei venuto qui a Canegrate?

Per sostituire don Gino che è andato in pensione dopo diciassette anni di parroco. Lui vi ha voluto un gran bene che avete ricambiato con il vostro affetto e – penso – cercando di fare vostri i suoi insegnamenti.

Ma c’è un altro motivo per cui sono qui. Ve lo spiego con un racconto dei Padri del deserto che mi è rimasto impresso e che voglio condividere con voi:

Un monaco incontra un altro monaco e gli chiede: “Come mai così tanti lasciano la vita monastica?”. E il secondo monaco risponde: “Avviene nella vita monastica come di un cane che insegue una lepre: le corre dietro e in questa corsa grida e abbaia; molti altri cani si uniscono e corrono tutti insieme, ma ad un certo momento tutti i cani che non vedono la lepre si stancano e uno dopo l’altro si perdono; solo quelli che la vedono continuano sino in fondo”. E il racconto conclude:

“Solo chi ha messo gli occhi sulla persona di Cristo crocifisso può perseverare fino in fondo”.

 

Ecco io sono qui per aiutarvi a vedere le lepre e, una volta vista, a non mollare mai lo sguardo. La vita cristiana inizia quando siamo attratti da qualcosa di bello che ci conquista: una liturgia, un canto, un libro, un amico, un gruppo, un invito, una vacanza, un sorriso, un esempio di bene, di coraggio, di carità, di preghiera, una confessione, un’opera d’arte, un paesaggio … È così per tutti. È un dato di fatto che la bellezza attira. Ecco perché dobbiamo guardare il bello della realtà ed essere noi belli di dentro.

Tuttavia, ciò non basta. L’essere attratti dalla bellezza è solo il motorino di avviamento della fede in Gesù. La bellezza che vediamo ci fa muovere i primi passi e può entusiasmarci per un certo tempo, ma viene il momento della maturità, quando ci può guidare soltanto l’esperienza personale di Cristo. L’entusiasmo di far parte di un gruppo dove si fanno insieme tante cose belle può andare avanti anche dei mesi, ma poi? Noi puoi andare avanti solo perché lo fanno i tuoi amici, perché nel tempo della maturità sorge inevitabilmente la domanda: ma io perché lo faccio? E non trovando risposta molli.

Gli esempi di carità ti invogliano a fare altrettanto e sull’onda delle emozioni e delle gratificazioni vai avanti, ma fino ad un certo punto perché quando ti accorgi che i risultati sono scarsi, poche le gratificazioni, che non sei ricambiato del bene che fai, ti domandi: chi me lo fa fare? E non trovando risposta molli. Si possono fare tanti altri esempi. La maturità mostra che quanto abbiamo visto in altri, o sentito lodare da altri, non rimane. O meglio, rimane ciò che è acquisizione nostra, ciò di cui abbiamo fatto la prova noi stessi. Come quei cani che corrono sì ma non vedono la lepre e si stancano, allo stesso modo noi giungiamo alla conoscenza di Gesù, iniziando dagli altri che ci hanno spinto, aiutato, portato avanti, ma approdando ad una conoscenza di lui fondata sull’esperienza personale.

Ecco io sono qui per aiutarvi a vedere le lepre e, una volta vista, a non mollare mai lo sguardo.

Questo racconto vi corrisponde perfettamente, perché guarda caso nello stemma comunale c’è proprio la figura di un cane ingabbiato, che non aspetta altro che di correre in libertà per vedere la lepre.